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San Paolo |
02/10/1960 |
h.15.00 |
NAPOLI - TORINO 1-1 (1-0) Napoli: Bugatti, Greco, Schiavone II, Posio, Mialich, Girardo, Di Giacomo, Gratton, Pivatelli, Del Vecchio, Tacchi. All.: Amadei. Torino: Vieri, Scesa, Gerbaudo, Bearzot, Lancioni, Balleri, Danova, Cella, Locatelli, Ferrini, Crippa. All.: Santos. Arbitro: Roversi di Bologna. Reti: Del Vecchio 10' (N), Cella 55' (T). Spettatori: 70.000 circa per un incasso di 25 milioni di lire. Note: Al termine della partita i tifosi napoletani, che hanno sonoramente fischiato la propria squadra, hanno tributato un sincero applauso ai calciatori granata. Giornata di caldo estivo, terreno in ottime condizioni, calci d'angolo 14-3 per il Napoli; ammonito Danova per gioco falloso. Cronaca [Tratto da La Stampa del 3 ottobre 1960] Questo risultato di Napoli ha sapore di realtà romanzesca per chi non l'abbia sentito che alla radio, o comunque, da lontano. La squadra locale che pareva quest'anno avere trovato la giusta quadratura, una squadra che non taceva affatto le sue velleità di conquista dello scudetto, è stata costretta al pareggio sul proprio campo e davanti al proprio pubblico da un Torino che tutti quanti - i sostenitori stessi compresi - avevano dichiarato essere la evanescenza e la debolezza personificate. Vi sarebbe da stralunare, o per lo meno da aprire tanto d'occhi stupiti e meravigliati, alla enunciazione dì questo esito di partita. E' successo, in linea generale, che l'unità che era stata dichiarata da tutti come superiore ha giocato male, e che quella che ognuno sosteneva essere inferiore di tanti cubiti; senza comportarsi affatto in modo superlativo dal punto di vista tecnico, ha sfoderato un animo e un impegno da gladiatore, ha combattuto così pugnacemente, come nessuno la credeva capace di fare. Il Napoli è andato in vantaggio all'inizio del primo tempo per un errore della difesa granata che mise Del Vecchio in condizioni di sparare da pochi passi mentre il portiere Vieri era completamente sbalestrato. Dopo un quarto d'ora del secondo tempo, ad un tentativo di carattere individuale dell'ala destra Danova, il quale al momento dell'azione si era portato sulla sinistra, il portiere partenopeo Bugatti rispose con una parata e una respinta breve, rimanendo susseguentemente a terra. Seguiva un nuovo tiro di Locatelli che non aveva successo. La palla veniva deviata da due o tre difensori in quel frangente, e Cella, sopravvenuto come uomo giusto al posto giusto, poteva spedirla nella rete con un tiro basso e forte, tra la confusione generale. Da quel momento, sull'uno a uno cioè, il Torino, che logicamente, date le premesse, considerava il pareggio alla stregua di una vittoria, ingigantiva moralmente e volitivamente, ed il Napoli cadeva in preda al pia completo orgasmo, tecnicamente parlando. Il Napoli dominò, fece di tutto da quel momento fino al termine dell'incontro, ottenne dieci calci d'angolo, uno dopo l'altro, mu passare, non passò. Ed il Torino non fece altro che lottare, mirando verso la fine a perdere tempo in tutti i modi possibili e immaginabili, ed al segnale di chiusura della partita, i suoi giocatori non finivano più di abbracciarci tanto erano contenti di quanto era avvenuto. Quella rete del pareggio fu come un segnale della riscossa per i granata. In difesa, il portiere Vieri non commise più un errore, e, all'attacco, Crippa e l'ex milanista Danova, esordiente tra i granata, visto che di gioco collettivo vero e proprio non si poteva parlare, si prodigarono in puntate e in tentativi individuali che, oltre a far guadagnare minuti preziosi a chi li praticava, gettavano ogni volta l'orgasmo nelle linee arretrate dei loro avversari. Ad un risultato, e, principalmente, ad un andamento della partita come quelli verificatisi, nessuno avrebbe creduto, in apertura d'incontro. Ognuno era convinto che il Napoli avrebbe fatto un boccone solo di un avversario che pareva avere una levatura tanto modesta. Il pubblico, che era numerosissimo - circa sessantamila presenti - era disposto alla gioia e al tripudio: gridava, incoraggiava, sparava mortaretti che parevano cannonate, il cielo era sereno, la giornata era calda come in piena estate tanto da invitare ai bagni di mare: una di quelle giornate insomma che pareva fatta apposta perché gli sportivi di una città come Napoli andassero in solluchero e cantassero vittoria. A cotanto invito la squadra partenopea, che aveva iniziato la stagione con un convincente successo fuori casa, rispose male, decisamente male. Chiuse il primo tempo in vantaggio, come si è detto, ma si vedeva già fin da quel momento che non era capace di combinare cose di pregio, o per lo meno nel frangente non era in vena. Si cercava invano, fra i tre attaccanti del centro di cosi diversa provenienza, una intesa, una combinazione, una qualsiasi amalgama. Pivatelli pareva rifuggire dal combattimento - o stava indietro, o cercava posizione all'ala -, Gratton correva e lavorava molto ma con poco costrutto, e Del Vecchio lasciava interdetti per la poca continuità e incisività del suo lavoro. Nel secondo tempo le cose peggiorarono decisamente per ì padroni di casa. Ogni tanto si assisteva ancora a qualche volatina dell'ala sinistra Tacchi, ma ogni volta le cose si concludevano con una gran confusione in area, con tiri alti O fuori bersaglio, o con calci d'angolo dalla giusta curvatura, ma dall'esito assolutamente nullo. Si guardava all'undici locale, che aveva destato tante e tante speranze fra i suoi sostenitori, e si rimaneva trasecolati dalla pochezza delle azioni che esso sapeva compiere. Anche la estrema difesa si faceva cogliere spesso e volentieri in errore. Ad eseguire del lavoro di semplice spinta in avanti rimaneva la linea mediana. L'area di rigore granata si presentava ogni volta, nei momenti del pericolo, piena e compatta. Per la famosa legge stessa della impenetrabilità della materia, era difficile che si riuscisse a passare attraverso ad un simile sbarramento. Lavoravano tutti con coraggio leonino i granata, ma Bearzot e Ferrini pareva avessero il dono dell'ubiquità tanto si trovavano da per tutto, dove c'era da respingere un pallone. Non era un catenaccio nel senso comune del termine, quello: era una squadra tutta che - due o tre uomini a parte, quasi sempre Crippa e Danova - faceva blocco e si difendeva. Essa aveva un punto nelle mani e non voleva cederlo a nessun costo. E faceva bene, che quel punto, retto e tenuto con i denti fino all'ultimo, ha dimostrato nei giocatori torinesi una combattività di cui nessuno li credeva capaci. Buon auspicio per un avvenire di campionato che si presenta come tutto impegnato di necessità battagliere. |
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