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Comunale |
11/01/1959 |
h.14.30 |
TALMONE TORINO - FIORENTINA 0-6 (0-2) Talmone Torino: Rigamonti V., Grava, Ganzer, Bearzot, Varglien III, Bonifaci, Armano, Virgili, Marchi, Arce, Cancian. All.: Bertoloni. Fiorentina: Sarti, Robotti, Castelletti, Chiappella, Cervato, Orzan, Hamrin, Gratton, Montuori, Lojacono, Petris. All.: Ferrero e Czeiler. Arbitro: Lo Bello di Siracusa. Reti: Lojacono 17', Montuori 28', 63', Hamrin 67', 84', Chiappella 86'. Spettatori: 30.000 circa. Note: Giornata fredda ma ben soleggiata, terreno in buone condizioni; ammonito Arce, calci d'angolo 6-2 per il Talmone Torino che per l'occasione scende in campo con la divisa bianca. Cronaca [Tratto da La Stampa del 12 gennaio 1959] Sta scritto che i granata torinesi debbano proprio bere fino all'ultima goccia nell'amaro calice dei risultati negativi di questa loro serie nera. Preventivata lo era questa sconfitta contro la Fiorentina, ma non nella misura verificatasi. Sei a zero rappresenta l'aumento di una unità, rispetto ai rovesci precedenti, anche se per i toscani significa la diminuzione di un punto nei confronti di quanto realizzato nelle due domeniche ultime. E l'esito riflette l'andamento del giuoco, anche se l'inizio della catasta delle reti è dovuto a due autentici infortuni, ed anche se i torinesi giuocarono per la prima mezz'ora in tono notevolmente migliorato rispetto alle loro ultime prestazioni. Gli è che i toscani hanno, a fin dato punto della partita, operato coi piemontesi, un po' come i gatti operano coi topi. La loro superiorità è stata netta e indiscussa: superiorità di stile, di tecnica, di decisione, di scatto principalmente. Dopo poco più di una ventina di minuti di giuoco, gli uomini del Talmone-Torino già avevano dato fondo ad ogni loro riserva di fiato, di vivacità, di possibilità di pensare e di muoversi colla secca rapidità che la situazione e la capacità dell'avversario rendevano necessarie. E, prima ancora che per insufficienza tecnica, essi risultarono battuti a causa della loro lentezza. Ci vorrà del tempo, e non sarà fatica lieve, quella occorrente per ridare tono alla muscolatura di questi giuocatori che, in un disgraziato inizio di campionato, avevano perso, assieme all'entusiasmo e all'amore schietto per la causa anche ogni senso di velocità e di mobilità. Nel giuoco italiano l'uomo deve sapersi muovere con scioltezza, con prontezza e con continuità, deve saper correre decisamente per novanta minuti: altrimenti è travolto. Lo si è visto chiaro in una partita, nella quale finalmente non è la volontà che sia mancata, ma la capacità. Le doti dell'avversario si sono incaricate di mettere in luce le pecche più urgenti della squadra: chiarita la situazione morale, sono emersi con contorni più nitidi i difetti tecnici e fisico-tecnici della compagine. Più facile dovrebbe tornare il curarli ora, nel periodo di intenso lavoro che deve seguire, di modo che si possa in un secondo tempo fondatamente dire che non tutto il male sia venuto per nuocere. La Fiorentina è una bella squadra. Ieri, essa non ha forzato. Non ne ha avuto bisogno: prima l'ha aiutata la sorte, e poi, appieno, il merito. La vittoria l'ha ottenuta con tutta semplicità, come una cosa naturale, senza aver avuto bisogno di ricorrere a prodezze eccezionali né di ricorrere a recondite risorse. Quando ha maggiormente convinto, è stato al momento in cui ogni cosa, specialmente in quanto a risultato, era già stata fatta: verso il termine cioè. Allora i granata erano battuti, aveva no perduto ogni prontezza di riflessi, e più non lottavano che per amore della firma. Allora la squadra apparve con una fisionomia sua ben definita: quella di una compagine costruita da anni, e nella quale gli elementi di nuova in corporazione eran stati amalgamati ed assimilati: il terzino Castelletti e l'attaccante Lojacono, fra altri. Ha i titoli per tornare ad aspirare al primato, l'undici della Fiorentina. Essa ha convinto il pubblico torinese, che ad un dato punto si è come inchinato di fronte al suo valore, riconoscendone i meriti e quasi dimenticando i contrasti per le disavventure granata iniziali. La giornata era fredda ma serena, ed aveva richiamato allo stadio un pubblico numeroso. Un pubblico anche ben disposto verso la squadra locale, un'affermazione della quale sarebbe stata conveniente ad ambi i sodalizi cittadini. Bisogna dire che questa affermazione parve possibile per più di quarto d'ora. La squadra granata pareva moralmente montata, e lottava e teneva testa con bolla fermezza all'avversario. Le premesse per una buona prova parevano essere presenti. Finché ad in goal nella partita vinta dalla ferire loro un colpo che ebbe l'aria di una vera ingiustizia, venne quella prima rete che doveva essere come la prima pietra dell'edificio della vittoria fiorentina A provocarla fu un'entrata di Ganzer su Gratton, qualche passo fuori della sinistra dell'area di rigore torinese. Una entrata energica, non fallosa affatto. Fu, più che altro, l'arbitro, a volerlo quel fallo. I viola ne approfittarono. Tirò Lojacono. Due uomini fecero velo davanti a Rigamonti, in partenza, il portiere scattò in ritardo, la palla sentì l'effetto con cui era stata toccata, cambio traiettoria ed infilò la rete quasi a filo del montante. Il disappunto per l'infortunio parve di leggerlo sul viso dei giuocatori torinesi, che proprio dell'apporto della buona sorte avevano bisogno in quel momento. Ciò nullameno la squadra reagì. E resse per un'altra abbondante decina di minuti. Solo per cadere vittima di una seconda botta della sfortuna poco prima della mezz'ora. Su un'azione di nessun rilievo, Grava dapprima mancò una respinta, e subito Ganzer lo imitò con un rinvio corto. Un ripicco e la palla capitò nei piedi di Montuori, che prontamente la deviò verso rete. La sfera colpì la faccia interna del montante e rimbalzò oltre la linea. Due reti, l'uno più insulsa dell'altra, nello spazio di poco più di dieci minuti, come da consuetudine nella storia di questi ultimi rovesci granata: senza che i toscani fossero stati altrimenti pericolosi in modo eccezionale. Fu da quel momento che il vero, l'autentico merito dell'undici viola subentrò alla fortuna. Ed allora esso parlò in tono tale da togliere ai torinesi ogni possibilità di ricupero. Un fatto, a cui contribuì da parte sua Armano, mancando la più facile delle occasioni prima del riposo. Il sedando tempo non ha storia. Ancora i granata ressero per diciotto minuti, ancora essi mancarono con Marchi e con Armano un paio di ottime occasioni, e poi fu tutto un monologo, quasi uno stornello, fiorentino. Un palo di Petris dapprima, poi Montuori che compare tutto solo al centro e segna. Indi un doppietto di Hamrin, ed infine il regalo di un attaccante ad un mediano, con un pallone messo sul piede di Chiappella al quale non rimane altro da fare che spedire in rete con una gran legnata, il numero delle reti quasi più non conta. Una squadra giuoco, l'altra, avvilita, e ridotta sulle ginocchia: Un'illusione quella di qualcuno, di vedere la risurrezione dei granata contro un simile avversario. A più tardi va rimandata l'occasione di risorgere. |
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